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La raccolta fondi negli enti del terzo settore
16 Mar, 2021

Le raccolte fondi rappresentano una delle più diffuse attività di finanziamento e di sostentamento degli enti non profit. Il D.lgs. n. 117/2017 – Codice del Terzo settore (CTS) per la prima volta definisce e disciplina espressamente, giuridicamente e fiscalmente, questo strumento, codificando la possibilità per tali enti di effettuare raccolte fondi in maniera continuativa.

L’art. 7 del CTS definisce la raccolta fondi come “il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva“. Continua poi il comma 2 dello stesso articolo disponendo che “gli enti del Terzo settore, possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di cui all’art. 97 e il Consiglio nazionale del Terzo settore“.

L’articolo in commento, nel definire le raccolte fondi, individua quindi i seguenti elementi:

  • sono strumenti di autofinanziamento;
  • devono essere svolte unicamente per finanziare le proprie attività di interesse generale;
  • comprendono sia attività volte a sollecitare donazioni e contributi di natura non corrispettiva, senza quindi alcuno scambio di beni e servizi (comma 1), sia attività ove è previsto uno scambio di beni e servizi di modico valore (comma 2);
  • possono essere svolte in forma occasionale oppure in forma organizzata e continuativa.

Rientrano fra le attività di raccolta fondi anche le sponsorizzazioni.

Definito quindi il concetto di raccolta fondi, occorre entrare nel merito di come un ente del terzo settore (ETS) effettivamente svolge la predetta attività per poter determinarne o meno la commercialità.
 

Sotto il profilo fiscale, per qualificare come commerciale un’attività, deve esistere un nesso di corrispettività tra le prestazioni del beneficiario e del donatore che dia vita ad un rapporto sinallagmatico. Quindi le attività di raccolta fondi senza scambio di beni e servizi consistenti in erogazioni liberali effettuate senza vincolo di reciprocità, non sono fiscalmente rilevanti ai fini delle imposte dirette e indirette. Si pensi ad esempio alle campagne di marketing telefonico o agli sms solidali finalizzati a stimolare donazioni nella comunità.

Diverso è, invece, il caso di raccolta fondi con scambio di beni e servizi per la quale l’art. 79 comma 4 lett. a) del CTS, in analogia con quanto stabilito dall’art. 143 comma 3 lett. a) del  TUIR, prevede la non imponibilità dei soli “fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione“.

I requisiti, non alternativi tra loro, per poter qualificare come non commerciali le entrate derivanti dallo svolgimento di eventi configurabili come raccolte pubbliche occasionali di fondi sono:

  • i beni ceduti o i servizi prestati devono essere di modico valore;
  • l’evento deve essere pubblico e svolto in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;
  • l’evento deve essere occasionale.

La norma non chiarisce la portata delle espressioni di “modico valore” né di “occasionalità”. Quanto al primo elemento, applicando regole generali di buon senso, sono da considerarsi di modico valore piccoli gadget quali ad esempio la t-shirt dell’associazione oppure l’azalea venduta in tutte le piazze d’Italia in occasione della festa della mamma.

Quanto al secondo elemento, come in passato, l’unico riferimento normativo che abbiamo è dato dall’art. 25 comma 2 della L.133/1999, il quale per le associazioni sportive dilettantistiche definisce occasionali un numero di eventi non superiore a due all’anno. Quindi per un ente che non sia sportivo dilettantistico sarà possibile organizzarne anche più di due, senza però che l’attività diventi organizzata e continuativa qualificandosi in quel caso come commerciale.

È il caso di segnalare che l’art. 87 comma 6 del CTS prevede che gli ETS non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi debbano predisporre per ciascun evento uno specifico rendiconto (accompagnato da una relazione illustrativa) da inserire all’interno del rendiconto o del bilancio di esercizio e da cui risultino in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione di cui all’art. 79 comma 4 lett. a).
 

Per le associazioni di promozione sociale (APS) e le organizzazioni di volontariato (ODV), oltre a quanto visto fino ad ora e genericamente previsto per tutti gli ETS non commerciali, sono previste ulteriori agevolazioni.

L’art. 85 comma 6 prevede la decommercializzazione per le APS delle vendite di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito ai fini di sovvenzione, a patto che la vendita sia curata direttamente dall’organizzazione, senza alcun intermediario, e che sia svolta senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenza sul mercato.

L’art. 84 comma 1 lett. a), prevede che per le ODV non si considerino commerciali le seguenti attività, se svolte alle condizioni di cui sopra:

  • vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito o prodotti dagli assistiti;
  • cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari;
  • somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale.
     

Proviamo ora a riassumere.

Stante la possibilità per gli ETS di svolgere attività di raccolta fondi occasionale o continuativa, di natura corrispettiva o non corrispettiva, gli aspetti fiscali possono essere sintetizzati come segue:

  • raccolta fondi di carattere non corrispettivo (erogazioni liberali): non imponibilità ai fini imposte dirette e indirette (art. 79 comma 5-bis CTS) e detraibili o deducibili per il donante (art. 83 CTS);
  • raccolte pubbliche occasionali di fondi (anche mediante offerta di beni o servizi di modico valore in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze, campagne di sensibilizzazione): non imponibili ai fini imposte dirette e indirette (art. 79 comma 4 lett. a) e art. 89 comma 18 CTS);
  • raccolte fondi di ODV e APS: ipotesi specifiche di decommercializzazione (art. 84 comma 1 e 85 comma 6 CTS).

Al di fuori delle ipotesi sopra indicate, quando la raccolta fondi avviene in forma sinallagmatica, attraverso quindi lo scambio di beni o servizi a fronte di un corrispettivo, i proventi concorreranno alla formazione del reddito e saranno imponibili Iva. Con riferimento alle sponsorizzazioni invece si rileva che le stesse sono da considerarsi sempre entrate di natura commerciale.

Gli ETS devono perciò prestare grande attenzione a un rischio cui possono incorrere effettuando raccolta fondi.

Lo svolgimento di attività in modalità commerciale, infatti, incide sulla qualifica fiscale dell’ente: pertanto lo stesso dovrà prestare attenzione a che le entrate derivanti da attività commerciali (eccezion fatta per le sponsorizzazioni effettuate ai sensi dell’art. 79 commi 2 e 3) non diventino prevalenti rispetto a contributi, sovvenzioni, liberalità, quote associative e ogni altra entrata assimilabile, perché in tal caso muterebbe la qualifica di ETS non commerciale in ETS commerciale.

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