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Studio shock di Banca d’Italia: la crisi economica ridurrà la popolazione di 3,4 milioni da qui al 2065
23 Giu, 2021

Ad ogni aumento della disoccupazione di un punto corrisponde la riduzione della natalità di un quarto di punto e dell’immigrazione netta di oltre due punti. A causa della crisi economica legata al Covid la popolazione italiana in età lavorativa nel 2065 sarà inferiore di 1,6-3,4 milioni rispetto allo scenario base (senza pandemia), con minore crescita del Pil del 17-27%. Sono queste le previsioni shock pubblicate da Banca d’Italia nell’occasional paper “Alcune valutazioni sul probabile impatto demografico della crisi Covid-19”. Nello studio, gli autori Giacomo Caracciolo, Salvatore Lo Bello e Dario Pellegrino avanzano una stima dell’impatto della crisi economica da Covid-19 sulla demografia italiana e, di conseguenza, sulla crescita del Pil nel lungo periodo.

Gli autori hanno utilizzato una regressione lineare, mettendo in relazione il tasso di disoccupazione e di natalità italiani nel periodo compreso tra il 1980 e il 2019. Dall’operazione emerge che “in media, un aumento di 1 per cento nel tasso di disoccupazione contemporaneo è associato ad una riduzione di circa 0,22-0,24 per cento nel tasso di natalità” e che “La relazione stimata, coerentemente con i risultati noti della letteratura, è negativa e statisticamente significativa”. Una relazione che permette di apprezzare quanto l’andamento del mercato del lavoro e dell’economia in generale incidano sulla vita quotidiana dei cittadini, alterando le loro decisioni personali e di programmazione. Gli autori sottolineano come in tutti i modelli considerati il tasso di disoccupazione abbia “una forte capacità predittiva” dato che in media “tra il 47 e il 67 per cento delle fluttuazioni del tasso di natalità possono essere ricondotte a variazioni del tasso di disoccupazione”. Marginale l’impatto della pandemia in sé: “Le stime sull’eccesso di mortalità per la popolazione 0-64 sono prossime allo zero, a causa di una probabile diminuzione della mortalità legata ad altre cause”.

Gli autori si sono quindi concentrati sul fattore migrazioni, mettendo a confronto l’andamento del tasso di disoccupazione e – per semplicità – il tasso migratorio netto nell’intervallo di tempo 1980-2019. “In media, un aumento di 1 per cento nel tasso di disoccupazione contemporaneo è associato ad una riduzione di circa 2-2,5 per cento nel tasso migratorio netto”, constatano. Anche in questo caso l’R quadratico è elevato (tra il 72% e il 73%), il che ha portato gli autori ad inserire anche questa variabile nel modello predittivo.

Nelle conclusioni l’analisi giunge a stimare che da qui al 2065 la crisi economica ridurrà la popolazione in età lavorativa di un numero compreso tra l’1,6 e i 3,4 milioni di unità. Citando lo studio: “Nel 2065 il calo […] sarebbe di circa 1,6-3,4 milioni superiore rispetto alle proiezioni Istat precedenti alla pandemia, che già segnalavano un arretramento atteso di questa popolazione di circa 9 milioni. Il calo delle dinamiche migratorie sarebbe responsabile di circa la metà degli effetti aggregati stimati. Inoltre, l’effetto della crisi pandemica sulle migrazioni si manifesterebbe nell’immediato, mentre il calo della natalità inizierebbe a produrre effetti tangibili solo a partire dal 2035”.

Una simile contrazione della popolazione in età lavorativa non potrà che avere un importante impatto sulla capacità produttiva italiana e, di conseguenza, sulla crescita economica potenziale: “Da un lato l’evoluzione demografica produrrà una forte spinta al ribasso sui livelli di prodotto: a parità di produttività del lavoro e nello scenario base di partecipazione, si stima che il calo della popolazione produrrebbe una contrazione del PIL nel 2065 stimata tra i 17 e i 27 punti percentuali, rispetto ai livelli del 2019”. Di questa grande riduzione della crescita l’impatto netto della demografia post-crisi Covid si attesterebbe in una forbice compresa tra i 4 e i 16 punti percentuali con una riduzione attesa del Pil pro capite compresa tra l’1 e il 2%.

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