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Politica monetaria, maneggiare con cura: l’inflazione riapre il dibattito sull’operato della Bce
24 Set, 2021

È una fase particolarmente delicata per la politica monetaria dell’eurozona. Il consiglio direttivo della Bce è diviso come sempre tra “falchi” – che spingono per una svolta restrittiva – e le “colombe” – che sperano nella continuità per favorire dei tassi bassi. Mentre però fino a qualche mese fa il tasso di inflazione e la crisi economica facevano propendere l’asticella per i secondi, ad oggi le condizioni sono cambiate in favore dei primi, rendendo il dibattito meno scontato.

Il tasso di inflazione dell’Eurozona ha infatti toccato il 3,0% nel mese di agosto 2021, in netta salita rispetto al 2,2% del mese di luglio. Il “merito” è quasi integralmente della dinamica dei beni energetici, che hanno raggiunto il 15,4% di variazione del prezzo rispetto all’anno precedente. Anche in Italia l’inflazione è stata ritoccata al rialzo dalle statistiche Istat. Quest’ultime parlano di un tasso di inflazione al 2,0% su base annua ad agosto, in aumento rispetto all’1,9% di luglio. Anche qui la componente energetica la fa da padrona con un +19,8% nei beni energetici e un +34,4% per la componente regolamentata. Se l’Italia si piazza sotto la media dell’Eurozona, in Germania – rappresentante dei Paesi della “Eurozona core” – l’indice dei prezzi al consumo ha fatto segnare l’aumento più rilevante degli ultimi venticinque anni a +3,9% su base annua.

Si spiega così la posizione dei Paesi “falchi”, ovvero appartenenti all’Europa del centro e del nord, che spingono affinché la Banca centrale europea imposti un programma di rientro per la politica monetaria al momento ancora ultraespansiva. Il differenziale di inflazione tra centro e periferia dell’Eurozona, ma anche la distanza della ripresa economica, sta portando però Francoforte a gestire il braccio di ferro con i piedi di piombo.

Dapprima la presidente Christine Lagarde ha annunciato il 9 settembre scorso che la Bce nei prossimi mesi ridurrà il ritmo degli acquisti netti di titoli di Stato nell’ambito del Pepp, il programma di acquisto di emergenza. Nella conferenza stampa che ha seguito l’annuncio Lagarde ha comunque insistito nel non volerlo definire un primo passo di un “tapering” all’europea, quanto una “ricalibrazione” degli acquisti. Un modo elegante e market-friendly per annunciare in ogni caso un primo restringimento dei canali della politica monetaria. La Bce adotterà ulteriore discrezionalità nell’acquisto dei titoli, discrezionalità tra l’altro confermata dai recenti dati sugli acquisti: nonostante l’annuncio, nella settimana che si è chiusa venerdì 17 settembre la Bce ha effettuato acquisti netti per 19,2 miliardi di euro, contro i 14,7 miliardi della settimana del 10 settembre. L’incognita è perciò rappresentata da come il mercato delle obbligazioni pubbliche reagirà realmente di fronte al venir meno di un compratore di “ultima istanza” – quantomeno sul secondario – specialmente per quanto riguarda i titoli del sud. A titolo meramente comparativo, tre luglio 2021 e giugno 2022  l’Italia è chiamata a rinnovare secondo il bollettino trimestrale del Mef 343 miliardi di euro di debito. Nell’ambito del Pepp la Bce ha acquistato quasi 209 miliardi di euro di titoli italiani nell’ultimo anno e mezzo. Una cifra sufficiente a finanziare gli ampi deficit di bilancio senza provocare scossoni sul fronte dei tassi di interesse a carico della fiscalità generale ma, allo stesso tempo, in presenza di un tasso di inflazione salito anche di 200 punti base rispetto alla fase più acuta della pandemia, destinata a comprimere ulteriormente il tasso reale offerto dal mercato (nominale meno inflazione). È anche questa una delle ragioni che sta muovendo il nord Europa, il più colpito in questo senso da tassi reali negativi ai minimi storici, che spera di poter avviare un processo di normalizzazione dei mercati riportando i tassi verso lo zero.

Dalla Finlandia Olli Rehn, membro del consiglio direttivo della Bce, ha già ipotizzato di anticipare l’aumento dei tassi di interesse legati al costo del denaro, nel tentativo di contenere l’inflazione. La politica monetaria espansiva è al momento ancora tutelata dalla necessità di alimentare la ripresa economica di tutto il continente ma anche dalla presunta natura temporanea dell’aumento dei prezzi, legata per l’appunto al boom dei beni energetici. Il vicepresidente della Bce Luis De Guindos si è infatti affannato a specificare come il tasso d’inflazione avrà un picco fino a 3,5% a novembre, per poi rientrare naturalmente. Per questo a suo avviso non bisogna legare i salari all’aumento dei prezzi: provocherebbero una spirale inflattiva capace di rendere strutturale l’aumento dei prezzi, sostiene. Insomma che siano i salari reali a pagare per il momento, pur di continuare a considerare questa inflazione come temporanea e contare su un suo celere rientro nel breve termine. La situazione, come i potrà notare, resta particolarmente delicata.

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