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Istat, ecco perché e come rallenterà l’economia italiana nei prossimi mesi
8 Giu, 2022

Nel mese di aprile il numero degli occupati si è ridotto di 12mila unità, facendo segnare una battuta d’arresto dopo due mesi di forte crescita. A sancirlo sono le stime pubblicate da Istat, secondo cui il mercato del lavoro avrebbe raggiunto un mese di stallo che scalfisce – sebbene marginalmente – la salita dell’occupazione in corso dal 2021. Sarebbero infatti 12mila gli occupati in meno rispetto al mese di marzo, generati principalmente dall’ennesima caduta degli indipendenti. Il numero dei lavoratori dipendenti è infatti salito di 5mila unità, con un importante distinguo da effettuare: il numero dei posti di lavoro a termine è salito di 9mila unità mentre quello dei permanenti è sceso di 4mila unità. Questo amplia nuovamente la distanza tra le due tipologie contrattuali. Tra aprile 2021 e aprile 2022 le variazioni nominali sarebbero anche comparabili (+304mila i permanenti e +354mila quelli a termine) ma l’insieme di partenza è ben differente. Il numero dei dipendenti a termine nel corso degli ultimi dodici mesi è salito del 12,6%, consolidando un insieme ben superiore ai 3 milioni di lavoratori a termine. È perciò incontestabile il mutamento nella composizione del mercato del lavoro italiano nella fase di convalescenza post-Covid, che predilige contratti a termine in una fase di pesante incertezza. Come anticipato sono gli indipendenti a subire maggiormente una variazione negativa, con 17mila unità in meno. Nel corso degli ultimi dodici mesi sono solo 11mila i lavoratori autonomi in più: un aumento irrisorio dello 0,2% da sottolineare.

Sono principalmente le femmine a contribuire alla dinamica negativa con 43mila occupate in meno contro i 31mila occupati in più tra i maschi. Nonostante gli occupati scendano, anche il tasso di disoccupazione fa segnare una variazione negativa, scendendo all’8,4%. Una apparente contraddizione spiegabile con il terzo insieme di persone, gli inattivi, aumentati in un solo mese di 34mila unità. Il numero di persone che hanno smesso di cercare lavoro è così salito sia tra i maschi (+13mila) che tra le femmine (+20mila), elemento che rafforza l’ipotesi di una fase di stallo nel mercato del lavoro italiano.

Nelle sue prospettive per l’economia italiana Istat non rincuora né esclude questo scenario, anzi sottolinea il rallentamento della ripresa: “La fase di ripresa del ciclo economico italiano è apparsa affievolirsi nel primo trimestre (+0,1% la variazione congiunturale). La domanda nazionale (al netto delle scorte), ha fornito un contributo positivo alla crescita (+0,4 punti percentuali) mentre quella estera netta, condizionata dal marcato aumento delle importazioni, ha fornito un apporto negativo (-0,3 punti percentuali)”.

Sono due gli elementi di preoccupazione per il quadro macroeconomico italiano. Da una parte c’è il forte sbilanciamento in atto nella bilancia commerciale italiana. Nel solo primo trimestre 2022 il saldo è risultato negativo per 7 miliardi di euro. Se è vero che al netto dei beni energetici sarebbe positivo per 14,9 miliardi, questa variazione espone l’Italia a criticità a livello di scambi di merci. Ciò è anche legato al secondo tema posto da Istat, ovvero l’impennata dei prezzi al consumo, cui indice di riferimento ha accelerato a +6,9% su base annua.

Nonostante ciò per il 2022 dovremmo assistere ad una concreta crescita del Pil, con un progressivo rallentamento nel medio termine: “Assumendo il proseguimento delle tendenze in atto nei comportamenti di famiglie e imprese, nel 2022 il Pil in media segnerebbe un ulteriore miglioramento (+2,8%) trainato dalla domanda interna che, al netto delle scorte, contribuirebbe positivamente per 3,2 punti percentuali mentre la domanda estera netta fornirebbe un apporto negativo (-0,4 punti percentuali). Il contributo delle scorte è stimato pari a zero in entrambi gli anni. La fase espansiva dell’economia italiana è prevista estendersi anche al 2023, sebbene con una intensità più contenuta: il Pil aumenterebbe dell’1,9%, sostenuto interamente dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (1,9 punti percentuali) mentre la domanda estera netta fornirebbe un contributo nullo”. Istat spiega in chiusura come le componenti prese in considerazione hanno modificato le stime di crescita italiane: “La revisione ha avuto un effetto principale, per l’anno corrente, sulle ipotesi per le esogene con un ridimensionamento del commercio mondiale (da +6,4% a +4,9%), un deprezzamento del tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro (da 1,18 a 1,04) e un rialzo delle quotazioni del petrolio (da 70,4 dollari al barile a 101,4). L’insieme di questi aggiornamenti ha determinato per il 2022 una revisione al ribasso del Pil di circa 2 punti percentuali (da +4,7% a +2,8%) e della spesa delle famiglie residenti e ISP (-2,5 punti percentuali). La revisione delle esogene ha avuto un impatto significativo anche sulle stime di commercio estero dell’Italia, determinando un rialzo delle importazioni (+1,6 p.p) congiuntamente a una flessione delle esportazioni (-0.4 p.p.). L’incremento del prezzo del petrolio, infine, ha determinato una revisione al rialzo del deflatore della spesa delle famiglie e del Pil (rispettivamente +3,6 p.p. e +1,2 p.p.)”.

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