Il dipendente che utilizza i dati del suo datore di lavoro per emettere fatture false è debitore dell’importo delle imposte in esse indicato. Ciò vale a condizione che il datore di lavoro, soggetto passivo di tale imposta, abbia dato prova di aver agito con la diligenza ragionevolmente dovuta nel controllare le condotte del dipendente.
Il chiarimento arriva dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella causa C-442/22, che chiarisce che l’Iva non può essere dovuta dall’emittente apparente di una falsa fattura quando questi sia in buona fede e l’amministrazione tributaria conosca l’identità della persona che ha realmente emesso la fattura di cui trattasi. In una situazione del genere, è quest’ultima persona ad essere debitrice dell’IVA.
Per essere considerato in buona fede, ha precisato ancora la Corte, il datore di lavoro è tenuto a dar prova della diligenza ragionevolmente dovuta nel controllare le condotte del suo dipendente e, così facendo, nell’evitare che i suoi dati siano utilizzati per emettere fatture false.